La stanza di Sherlock

Il caso dei cioccolatini avvelenati – Recensione

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Un giallo classico che più classico non si può, ma di rara originalità e bellezza. Ben sei diverse soluzioni, tutte plausibili, un unico caso di omicidio.

Anthony Berkeley capì subito, prima di altri, che P.D James avrebbe fatto strada quando si trovò a recensire uno dei suoi primi romanzi.
Gran parte della sua carriera, Berkeley la passò, infatti, facendo il giornalista e il recensore di libri crime… e chi meglio di lui in effetti. In 15 anni questo autore inglese fu anche il fondatore del Detection Club, del quale furono membri anche Agatha Christie, G.K Chesterton e John Dickson Carr. Poca roba, insomma.
Il club c’è ancora oggi, Berkeley, chiaramente non più (morì nel 1971) ma i suoi romanzi rimangono fra i migliori libri gialli di sempre.

Aveva l’impressione che per lui, i vari tentativi di risolvere il caso sarebbero stati più interessanti del caso stesso

Roger Sheringham

Trama in breve

Siamo nel 1926 quando il buon Anthony scrive questo romanzo nel quale troviamo il suo personaggio più famoso, Robert Sheringham. Vediamo brevemente cosa succede.

Eccoci a Londra (e dove sennò) e la signora Bendix non ha fatto proprio una fine piacevole: è morta avvelenata a causa di una generosa manciata di cioccolatini presi e divorati da una scatola dono dal marito. Ma quella scatola non era per lei e nemmeno per il marito a dirla tutta, bensì era indirizzata dalla stessa azienda produttrice al baronetto, viziato, donnaiolo e sufficientemente insopportabile, Sir Eustace che in un gesto di inaspettato altruismo dona i dolcetti al buon Bendix che incrocia presso il Rainbow club.

Nemmeno a dirlo la polizia, capitanata in questo romanzo dall‘ispettore Moresby, non riesce a venire a capo dell’inghippo: chi è stato a consegnare quella scatola di cioccolatini avvelenati al simpatico Sir Eustace? E chi doveva lasciarci le penne?

E’ qui che entra in gioco il narratore e protagonista del romanzo, Roger Sheringham, detective dilettante nonché fondatore (proprio come Berkeley) del Circolo del Crimine. A farne parte altre 5 persone, scrittori di gialli, avvocati, commediografi ma anche un uomo qualsiasi. Entrare nel Circolo non è cosa facile: non bisogna essere solamente appassionati di gialli ma anche buoni esperti di criminologia, conoscere i casi contemporanei di cronaca e avere ottime doti deduttive. Insomma, una check list non certo alla portata di tutti.

Il Cricolo, con il placet della polizia, decide di provare a risolvere il caso Bendix: ogni partecipante avrà a disposizione una settimana per le indagini e dovrà poi condividere con gli altri iscritti la propria ipotesi sulla soluzione del delitto. La polizia segue il tutto con occhio critico ma non troppo, dato che ognuno dei novelli indagatori verrà tenuto sotto controllo dalle autorità: non si sa mai che qualcuno di questi dilettanti, per sbaglio, inciampi nella soluzione giusta.
Ci saranno sei soluzioni diverse, tutte ampiamente plausibili e un finale intelligente.

Se si racconta al lettore quello che deve credere, lui ci crederà. Lei ha compreso a pieno la tecnica. Perché non prova a scrivere gialli? Mi creda è un lavoro remunerativo.

Morton Harrogate Bradley

Un romanzo in frantumi

Se avete visto il bellissimo film di Woody Allen Misterioso omicidio a Manhattan, avrete presente una delle scene finali dove il colpevole si aggira in un teatro dismesso pieno di specchi, alcuni rotti, che rimandano alla macchina da presa decine di copie della sua immagine mentre cerca di scappare dal suo destino.
Ecco, mentre si legge Il caso dei cioccolatini avvelenati, la sensazione che si ha è esattamente quella: un’unica immagine, un gruppetto di indizi semplici che però, rimandano decine di diverse angolazioni di visione, interpretazioni tutte potenzialmente corrette alle quali il lettore si appoggia nella speranza che quel treno, questa volta, sia quello giusto.

Questo libro è davvero avvincente non solo perché scritto divinamente bene o perché i tratti da scrittore umoristico di Berkeley emergono pienamente regalando delle descrizioni deliziose dei personaggi, ma perché si tratta, a tutti gli effetti di un saggio sul romanzo giallo travestito da romanzo. Ci sono due piani di lettura: quello della storia che non ti lascia un attimo, anche se il ritmo non è incalzante e quello dell’analisi del processo mentale che porta gli scrittori di gialli ad agire sulla carta in un modo piuttosto che in un altro, sfruttando anche le debolezze dei lettori.
Uno dei personaggi più interessanti del romanzo, lo scrittore Bradley, per esempio, spiega:

Nella letteratura, come nell’arte in generale, la prova diventa una questione di scelta. Sapendo quali elementi lasciare e quali togliere si può provare praticamente tutto.

Provo, infine, a stilare la carta d’identità di chi amerà questo libro, vediamo se qualcuno ci si riconosce:

– Ama Londra in tutte le sue forme, ma soprattutto quelle vittoriane, fatte di selciati bagnati di pioggia, carrozze e bovindi.
– Ama i gialli classici e avvincenti pieni di personaggi che rimangono nel cuore
– Ama le storie ben orchestrate
– Ama cercare di risolvere i casi prima della fine del libro
– Ama i puzzle mentali
– Ama il mondo della complessità nel quale la verità si frantuma in mille pezzi, ricomponendosi ogni volta, in base a chi ci sta raccontando quello che ascoltiamo, o leggiamo.


Consigliato: sì
Adatto agli sherlockiani: sì
Da leggere più volte: senza dubbio


Anthony Berkeley
Il caso dei cioccolatini avvelenati
Polillo Editore, 2003
euro 13,94