“The Return of the Pharaoh” di Nicholas Meyer

Qual è il risultato della mescola sapiente fra il personaggio di Sherlock Holmes, uno dei più grandi apocrifisti internazionali e l’affascinante mondo dell’antico Egitto? Semplice: un romanzo imperdibile.

Chi segue La Stanza di Sherlock sa che sono una sorta di groupie di Nicholas Meyer. Questo autore americano mi ha trafitto il cuore con un dardo lanciato alla velocità di un Freccia Rossa quando il suo “Soluzione sette per cento” ha incrociato il mio cammino di appassionata e studiosa di Sherlock Holmes. So che non tutti apprezzano gli apocrifi, quei romanzi che fanno rivivere le gesta di Holmes seguendo lo stile e le “regole” del Canone creato da Doyle riguardo il suo personaggio. È anche vero che ci sono tanti risultati mediocri in giro, e ci sono anche molti apocrifi in cui le libertà che si prende l’autrice o l’autore sono al limite del legale. Vi faccio un esempio? Ok, ma non ditemi che non eravate stati avvisati. Geri Shear, ad esempio, immagina Holmes sposato e “uomo di casa” che indaga insieme alla moglie. Ecco, questo è il genere di “sgarri” che non riesco a deglutire. Sia ben inteso, non tanto a causa della creazione di una vita affettiva di Holmes, che trovo un terreno sul quale far galoppare la fantasia, bensì sul fatto che questo inserto romantico distrugga il carattere e la psicologia del personaggio come tutti lo conosciamo. Ho finito di lamentarmi, proseguo su Meyer.

Questo autore di cui chiacchieriamo oggi, invece, è un vero professionista, uno che Holmes lo ama da sempre, lo rispetta e rispetta i lettori che attendono di vederlo tornare a correre e dilaniarsi per risolvere misteri, dubbi e casi apparentemente fuori dalla portata di chiunque. “Soluzione sette per cento”, il suo primo apocrifo, anche se parte da un presupposto strano – nessuno spoiler – indaga un aspetto di Holmes molto interessante, la dipendenza da cocaina e lo fa andando a stanare Sigmund Freud che, coevo delle avventure holmesiane, diventa personaggio di una storia avventurosa e bellissima, ma parliamo dell’ultima fatica del nostro Nicholas che ha fatto in “The return of the pharaoh” quello che gli riesce meglio: andare a pescare storie e personaggi storici che, cronologicamente, sarebbero stati perfetti per un incontro/scontro con Sherlock.

A sinistra, Howard Carter, a destra Lord Carnarvorn suo finanziatore. Carter è passato alla storia grazie alla scoperta della tomba intatta (una delle uniche due al mondo) del faraone bambino Tutankhamon nel 1922.

La trama

Siamo nel 1910, Holmes non è un ragazzino, mentre Watson è alle prese con la sua seconda moglie, Juliet. I due è parecchio che non si vedono.
La consorte di Watson contrae la tubercolosi e su consiglio di un medico viene invitata a lasciare le rigide temperature dell’Inghilterra per recarsi in Egitto dove un luminare potrà curarla all’interno di un sanatorio. Watson è fuori dai giochi: per evitare il contagio potrà vedere la moglie solamente in alcune rare occasioni: si preannunciano mesi lunghi per il dottore, lontano dal suo lavoro e dalla sua città. Mentre passeggia per le vie de Il Cairo entra in un locale e si affianca per una bevuta ad un militare dall’aspetto curato: dopo poche parole – non sto nemmeno a dirvelo – quel personaggio si rivela essere proprio Sherlock Holmes che si trova in Egitto per una missione: scoprire, su richiesta della moglie, che fine ha fatto un duca inglese appassionato di egittologia scomparso senza lasciare tracce. Watson tenterà di rimanere fuori dalle vibrazioni investigative di Holmes, cercherà di non ficcarsi nei guai per amore della moglie ma con scarsi, scarsissimi risultati. Le indagini porteranno i due amici di sempre ad incontrare Howard Carter, egittologo che insieme al suo finanziatore, Lord Carnarvon, sta lavorando a nuovi scavi nella valle dei re. Fra inseguimenti, spionaggio e “gite-trappola” nelle tombe faraoniche, la storia prende il largo nel vostro cuore.

Illustrazione del 1930 che ricostruisce l’aspetto originario del complesso funerario della piramide di Chefren, IV sovrano della IV dinastia.

Ma quindi, com’è The Return of The Pharaoh?

Al netto del fatto che il libro si trova solo in inglese, che il prezzo è bello alto (circa 25 euro) e che se lo volete meglio comprarlo su Book Depository con le spese di spedizione gratis, questo di Meyer è un ottimo romanzo, forse non il più brillante, ma la leggera lentezza dell’inizio viene completamente ripagata dal mix fra Holmes-antico Egitto-Howard Carter che ho trovato a dir poco delizioso. Non è un testo facile da leggere in inglese, ho dovuto cercare parecchi lemmi ma qui dipende tanto dal vostro livello di inglese (avevo trovato meno difficoltà, sempre in lingua originale, per esempio, con “The adventure of the peculiar protocols“).
Meyer rispetta Holmes, come vi dicevo, è difficile non dimenticarsi che dietro queste pagine non ci sia Doyle ed è difficile non apprezzare come Meyer usi le storie di Holmes anche per parlare di temi importanti e contemporanei, sapendo ben leggere fra le righe.

Consigli pratici? Se volete leggere Meyer in italiano, tradotti trovate ben tre suoi testi holmesiani: iniziate da Soluzione Sette per cento, proseguite con Orrore del West End (qui incontra Bernard Shaw, per dire) e finite con Il fantasma di Parigi (pubblicato qualche anno fa dai Gialli Mondadori e dove Holmes – durante il Grande Iato – è violinista all’Ópera e incontrerà il Fantasma omonimo). Se non li amerete, tornate da me e poi discuteremo… animatamente.

Consigliato: sì, sì, ho già detto “sì”?
Adatto agli sherlockiani: ovvio
Da leggere più volte: 
non per forza.