“La fine del mondo” di Arthur Conan Doyle

Il seguito ideale de “Il mondo perduto” è un romanzo breve che vede protagonisti gli stessi personaggi del romanzo d’avventura , qui alle prese con una nube velenosa che minaccia il mondo. E forse è bene anche parlare di Challenger e Holmes, che ne dite?

“È un vecchio orso non troppo cattivo”. “È formidabile in tutto, se sei corretto con lui non ti farà alcun male”. “È un uomo delle caverne”. Diciamo che quello che si può dire di Edward Challenger, scienziato barbuto e taurino nato dalla penna matura di Doyle, è sintetizzabile nelle parole del suo narratore di fiducia, il giovane giornalista, ex romantico, Edward-Ted Malone.


Sentivo qualcosa di così strano nella mia testa, e i miei nervi erano così scossi, che l’indifferenza di tutta quella gente mi sembrava inverosimile –

Malone

Quando scrive “La fine del mondo”, romanzo breve conosciuto anche con il titolo de “La nube avvelenata“, Arthur Conan Doyle è già all’apice della sua carriera: siamo nel 1913, Sherlock è alle sue spalle e anche “Il mondo perduto”, solo un anno prima, ha fatto il suo. È qui che ritroviamo lo scienziato che tanti tratti ha in comune con il detective di Baker Street ma che, nonostante tutto, porta sulle spalle un carattere tutto suo. Challenger è espressione del suo tempo, della fiducia nella scienza ma anche monito di quegli spettri che arriveranno veloci con la Prima Guerra Mondiale. La sensazione di sfiducia nei confronti del prossimo e del mondo intero sono un marchio di fabbrica di Challenger con il quale Doyle gioca molto per caratterizzare il suo personaggio, dal quale filtrano sentimenti chiari e tipici di quel periodo.

Due edizioni del romanzo di Doyle: sulla sinistra, cover blu, la prima edizione del 1913, sulla destra un’edizione limitata sempre dello stesso editore.

La trama

La storia che Doyle fa vivere al gruppo di amici che abbiamo conosciuto ne “Il mondo perduto” ha davvero tratti tipici della fantascienza ma così calati nella realtà da diventare un esperimento di narrazione distopica che sembrano scritti per il nostro tempo.
Challenger vive ritirato nella sua villa laboratorio nelle campagne del Sussex insieme alla moglie eppure interviene con il suo piglio polemico sulle riviste scientifiche inglesi per dare la propria interpretazione su alcuni mutamenti avvenuti nelle “linee di Frauenhofer”, una sorta di disturbo cosmico a cui la comunità scientifica sta cercando di dare un senso. Challenger ha capito quello che molti non vogliono vedere e invita i suoi amici a recarsi da lui con un telegramma che recita: “portate ossigeno”. È così che si avvia una vicenda piena di colpi di scena, bella da leggere e attualissima nelle riflessioni che suscita. Sono 100 pagine ma voleranno via come fossero 20: vi ho avvisati.

Challenger e Holmes in due illustrazioni d’epoca: la prima è di Harry Rountree, illustratore dello Strand Magazine, mentre la secondo, quella di Holmes è opera dell’immenso Sidney Paget

Challenger e Holmes

I due personaggi più famosi di Doyle hanno molto in comune. Entrambi intransigenti, disillusi dal mondo e dall’umanità – tranne per rare e semplici eccezioni – pronti a battersi contro tutti pur di mostrare la strada (quella giusta). Eppure faremmo un grosso errore se pensassimo che Doyle abbia creato Challenger come una “copia” barbuta di Holmes. Tutto al contrario: lo scienziato del Sussex è tridimensionale tanto quanto Holmes, seppure in modo diverso. Le faglie narrative attraverso le quali ne intuiamo le caratteristiche, le fragilità e le durezze, l’ottusità e il genio, sono magistrali e ci riportano, anche se in poche pagine, alla grandezza di Doyle che è stato in grado di riflettere su temi giganteschi con una freschezza che a me lascia sempre a bocca aperta.

La copertina del romanzo apparso a puntate prima sullo Strand Magazine; sulla destra una delle illustrazioni che vedono Challenger abbracciare la moglie.

Holmes e Challenger non avrebbero mai potuto stare nella stessa stanza per più di 10 minuti, questo è certo, ma nella nostra mente possono andare a braccetto senza problemi come espressione dei temi cari a Doyle pur trattati con gradi di maturità differente. Amicizia, rapporto fra l’uomo e le scelte etiche, giustizia e ingiustizia, egocentrismo, fragilità umane: qui troverete tutto.

Ciò che dovrà continuare ad ossessionare il nostro spirito, è la rivelazione delle possibilità dell’universo, la dimostrazione della nostra presuntuosa ignoranza e la conferma di quanto sia effimera la nostra esistenza materiale, con gli abissi che possono spalancarsi sotto di noi.

Challenger

Ma com’è questo libro, quindi?

“La fine del mondo” non ha scenari meravigliosi come “Il mondo perduto” ma anche se il teatro dell’azione è, praticamente, la casa dello scienziato avventuriero, qui sta la grandezza di Doyle: non scollerete gli occhi dalle pagine e rifletterete sulla caducità del nostro ruolo umano, così egoriferito e poco attento, da far quasi impressione (a riprova del fatto che nel giro di più di 100 anni, non è cambiato nulla).

Potete leggerlo senza aver letto “Il mondo perduto”? Sì, ma vi perdereste le motivazioni delle relazioni fra i personaggi: Challenger, Malone, Roxton e Summerlee che vi aspettano nel Sussex per non abbandonare mai più il vostro fianco.

Consigliato: nel modo più assoluto
Adatto agli sherlockiani: sì, senza dubbio
Da leggere più volte: 
certamente