“La dea della vendetta” di S.S. Van Dine

Nel 1929, S.S Van Dine, scrive il suo terzo romanzo giallo: forse non il migliore ma certo quello che racconta al meglio la Golden Age di questo genere letterario.

Erano più di duemila i volumi che l’intellettuale, critico d’arte e aristocratico S.S Van Dine (pseudonimo dell’americano Willard Huntington Wright) collezionò su prescrizione del medico.
Lo so, descritta così sembra un po’ strana come ricetta, ma sostanzialmente – stando a quello che riporta lo stesso Wright – andò proprio così.

A 35 anni questo intellettuale aristocratico nel midollo, che aveva conseguito la laurea in Letteratura ad Harvard e che di professione, per prima cosa, viveva bene, e solo in seconda battuta faceva il giornalista e il critico d’arte, si ammalò di tubercolosi. Una diagnosi non proprio felice per i tempi e che lo portò a dover riposare il più possibile. Ed è qui che arriva la prescrizione medica sui generis: dedicarsi solo a letture “amene”. In quel periodo, però, “distrazione” e “intrattenimento” si traducevano con detective stories.

Il buon Willard prese alla lettera ls prescrizione e iniziò non solo a leggere moltissimi racconti e romanzi gialli, ma li studiò e li collezionò cercando di procurarsene anche versioni introvabili. Il suo obiettivo era quello di scrivere una storia del giallo. Ecco, il medico credo non ne sapesse nulla, anche perché non era certamente questa la sua idea di “riposo”. Fatto sta che il giornalista americano abbandonò ben presto l’idea del manuale e decise di cimentarsi direttamente nella scrittura di un romanzo che vedesse come protagonista un detective e che mettesse in pratica tutto quello che aveva letto e studiato.

Sulla sinistra S.S.Van Dine e sulla destra una bellissima cover di una edizione del romanzo

Nel 1926 i lettori appassionati di misteri ebbero fra le mani “Lo strano caso del dott. Benson” uno dei romanzi che hanno fatto la storia del giallo deduttivo (fra l’altro, primo titolo scelto da Mondadori per dare il via alla sua collana de “I gialli”). Ma Willard Huntington Wright, forse per differenziare (e porre le distanze) fra la sua produzione da critico letterario e quella da romanziere giallo, decise di utilizzare uno pseudonimo – S.S.Van Dine, appunto – senza rivelare a nessuno la sua vera identità.
In tutto S.S. Van Dine scriverà 12 romanzi, dal 1926 al 1939, anno della sua morte.

LA CACCIA A WILLARD

Che dietro quelle pagine così perfette, a quella struttura romanzesca così pulita e – a tratti – pedestre, si potesse celare un esordiente, non convinceva nessuno. Il primo a sentire puzza di bruciato fu Harry Hansen, anche lui giornalista e critico letterario sul New York Times che in un articolo cominciò a mettere in dubbio la tesi della presenza di un romanziere “nuovo”.
La calunnia è un venticello, dicono, ma anche il sospetto, perciò la caccia all’autore misterioso e di grande successo che si celava dietro lo pseudonimo di S.S Van Dine proseguì fino al 1929, anno in cui fu il giornalista Bruce Gould a svelare la vera identità dello scrittore in un articolo pubblicato dal New York Post. Stando a quanto riportato da Stefano Benvenuti e Gianni Rizzoni nel loro “Il romanzo giallo” (Club degli Editori, 1979), Gould disse di aver stanato Wright perché lo invitò al ristorante Pierre, molto costoso e rinomato. Secondo Gould, nessun critico d’arte, per quanto famoso, avrebbe potuto permettersi quel genere di invito, e quel denaro arrivava certamente dal suo alter ego S.S.Van Dine (che, va ricordato, ebbe un successo strepitoso con i suoi romanzi).

Philo Vance: lo specchio di Van Dine

Ma veniamo al romanzo e al suo protagonista, Philo Vance, un detective dilettante ma acutissimo che rappresenta il dandy all’ennesima potenza, nonché una sorta di copia carbone di Wright/Van Dine.
Vance è protagonista di tutti i 12 romanzi, è un esteta, un intellettuale finissimo che studia in modo dettagliato molteplici campi del sapere: dalle lingue (vive o morte che siano – scrive e traduce in geroglifico, per capirci), all’economia, dall’arte figurativa, alla scultura, arrivando fino alla scienza (compresa quella forense). Osserva i crimini con distacco critico, come farebbe con un quadro da valutare.
Amico di vecchia data del procuratore distrettuale di New York, John F.X Markham, Vance, viene spesso invitato a collaborare per dipanare casi complessi o dai tratti bizzarri. Altri personaggi fissi del mondo di Van Dine sono il maggiordomo tutto fare di Vance, Currie, il sergente della omicidi Ernst Heath, e la spalla di Vance, e voce narrante dei romanzi: un certo avvocato S.S. Van Dine. Già.

Il nostro Willard che, come abbiamo capito, la megalomania non sapeva proprio cosa fosse, inserisce sé stesso sia come immagine specchio di Philo Vance ma si replica anche come personaggio “reale” e narratore diretto nelle storie: Van Dine, nei romanzi, è un avvocato che lascia il foro per seguire e curare gli interessi dell’amico Philo Vance, aiutandolo anche nelle indagini.
Ambientati negli Stati Uniti – in particolare nella New York degli anni Trenta – i gialli con protagonista Philo Vance sono una sorta di idea platonica del giallo classico (a sua volta – ma non potrebbe essere diversamente – ispirati ai capostipiti del genere: Poe e Doyle).

La trama

Ne “La dea della vendetta“, Van Dine mescola due temi amatissimi dell’epoca: il delitto della camera chiusa e i misteri e le superstizioni legati alle vicende dell’Antico Egitto. Già questo basterebbe per creare curiosità, ma vi dico qualcosa in più (chiaramente senza spoiler).
Nel museo privato dell’egittologo Mindrum Bliss viene trovato il cadavere di un ricco mecenate, Benjamin Kyle, ucciso da un colpo ferale alla testa inferto con una statuetta della dea egizia Sekhmet (la dea della vendetta). I sospetti cadono subito su Bliss stesso, dato che alcuni indizi evidenti portano a lui, ma Philo Vance, chiamato ad indagare dall’amico ed egittologo Donald Scarlett, non crede alle storie troppo semplici. Fra il nipote di Kyle, la giovane moglie egiziana dell’anziano mecenate, il servitore della donna e lo stesso Scarlett, il giallo è fitto nonostante l’apparente semplicità.

Una locandina dei film tratti dai romanzi di Van Dine: alla fine dell’articolo scoprirete chi è l’attore che interpreta Philo Vance

Ma com’è “La dea della vendetta”?

Non si tratta di un romanzo pieno di azione, bensì tutto il contrario. La vicenda si svolge – tranne per rarissime scene all’aperto e in casa di Vance e Scarlett – tutta nella casa museo di Kyle. Il ritmo è buono e viene sostenuto dalle riflessioni e dai dialoghi maieutici fra Vance e Markham. Solo verso la fine del romanzo l’azione si smuove un po’, il ritmo si fa più serrato e il giallo giunge alla sua soluzione. Io l’ho trovato un romanzo “confortante”, classico, pulito, interessante, ma bisogna regalarsi il tempo per apprezzarlo. Ho adorato i riferimenti all’Antico Egitto, alla questione storica delle “predazioni” egittologiche dell’Occidente verso il Medio Oriente e l’ambientazione museale.
Insomma, se cercate un grande classico giallo, un po’ lento, ma costante, questo è perfetto, ma forse, se voleste iniziare a conoscere Philo Vance (adorandolo o odiandolo) vi conviene partire dalla “Strana morte del dottor Benson”.

Piccola curiosità: dai romanzi di Van Dine furono tratti anche numerosi film, nessuno dei quali tradotto mai in italiano. In uno di essi, “The bishop murder” del 1930 (lo potete vedere qui in lingua originale) ad interpretare Philo Vance è un giovane e super dandy Basil Rathbone, attore che divenne negli anni Quaranta, uno dei più amati interpreti del personaggio di Sherlock Holmes in una serie di film per la tv.

Consigliato: 
Adatto agli sherlockiani: senza dubbio
Da leggere più volte: 
no