La stanza di Sherlock

Una buccia di banana per Sherlock

Lo scrittore americano Mark Twain le canta al detective di Baker Street creando una storia che è insieme un giallo e una splendida presa in giro

Lo scrittore Mark Twain

Ora lascerò stare i ragionamenti, le supposizioni, il suggestivo concatenamento fra loro di quella cianfrusaglia di indizi e le altre teatralità spettacolari del mestiere del detective e in modo chiaro vi spiegherò come si è svolta questa disgraziata vicenda…

Una cosa che Mark Twain amava molto erano i battelli a vapore (e scrivere), una che invece non gli andava proprio giù, era Sherlock Holmes. Lo spirito indomabile di questo scrittore americano trovò un modo per dare sfogo a questa antipatia letteraria prendendo per il naso la figura di Sherlock e con lui l’arroganza di chi crede sempre di sapere tutto. Nel racconto “Detective story a doppio fondo” chi ama il detective di Baker Street non riconoscerà come realistica la descrizione che ne fa Twain, ma certamente amare il detective consulente più famoso del mondo significa anche ammettere che non sempre il nostro risulta esattamente simpaticissimo, rimanendogli comunque devoti in ogni caso. Ma veniamo alla storia.

La trama

Scritto in poco più di una settimana alla fine del 1901 e pubblicato in due puntate sull’Harper’s Magazine fra il gennaio e il febbraio dell’anno successivo, “A double barelled detective story”, non è forse la migliore creazione imbastita da Twain, tanto che anche il suo biografo ufficiale Everett Emerson abbatté la scure del suo giudizio implacabile scrivendo: “Probabilmente la peggiore storia che Twain abbia mai scritto”.

Detto questo, se davvero quella che ci troviamo davanti è la storia peggiore di Twain, è facile capire, una volta finito di leggerla, la levatura di questo autore eccezionale. La storia non è affatto brutta, anzi; forse a tratti non è limpidissima a causa di una trama non troppo strutturata, ma vale certamente la lettura, soprattutto per alcune scene, frasi e immagini bellissime che rimangono saldamente impresse nella memoria.

La prima edizione del romanzo nel 1901


Siamo negli Stati Uniti, nella Virginia dei minatori nel 1880. La giovane signorina Stillman incontra Jacob Fuller, pessimo uomo che viene preso immediatamente di mira dal lungimirante padre della ragazza. I due convolano comunque a nozze ma Fuller medita vendetta ai danni del suocero che lo avrebbe enormemente oltraggiato con alcune frasi poco rispettose. Da grande vigliacco quale è, Fuller non attacca direttamente l’uomo ma decide di far vivere in una sorta di incubo ad occhi aperti la ragazza che però, stoica, resiste senza mai rivelare al padre le condizioni di disagio perenne in cui è costretta a rimanere. In una scena che sembra presa direttamente dagli scontri fra contrabbandieri messicani di cocaina di “Better call Saul” (Netfilx), la ragazza subisce l’ultima onta per far capitolare suo padre: viene legata ad un albero lungo una strada di transito nel bel mezzo della campagna americana, colpita a frustate e poi lasciata in preda ai cani che le strappano le vesti, rimanendo nuda in attesa che qualcuno la liberi. Fuller da quel momento abbandona le scene (anche se non per sempre), mollando la moglie e il figlio che ha in grembo senza rimorsi. Archy, il bimbo, cresce e la donna, che si rivela ben più egoista di quanto non si creda, assolda il figlio che mostra speciali poteri olfattivi, per ritrovare il padre e fargli vivere il resto della sua vita nel tormento. Capito la signora…

Il ragazzo parte e gira praticamente tutto il mondo a caccia del padre, sacrificando la sua esistenza ad un inseguimento che gli procurerà non pochi problemi morali. Archy, nella seconda metà del romanzo (strutturato in due sezioni narrative diverse e apparentemente distanti, come accade in “Uno studio in rosso” di Doyle), si trova ad essere osservatore nella vicenda della morte violenta di un uomo davvero pessimo, Flint Buckner, odiato per ottime ragioni dall’intera comunità di minatori e soprattutto da Fetlock Jones, giovane ragazzo suo “schiavo”, un po’ smidollato ma furbo.

L’edizione italiana edita da Mattioli 1885



Direte: “Bene, ma Holmes?”. Arriva: Jones è il nipote del celebre detective che, un po’ come in una magia del mai troppo ricordato mago Silvan nostrano, compare nel racconto di colpo, osannato, amato e venerato come una sorta di divinità tardo inglese che si aggira, con aria davvero un po’ disgustata, in mezzo ai rozzi ma onesti minatori di Hope Canyon. La scena migliore di tutto il racconto arriva quando Sherlock, quasi come una Madonna in processione, viene fatto sedere su di una sedia da osteria, a sua volta posta sopra ad un tavolaccio, per poter arringare il suo uditorio di minatori in merito alla soluzione del caso Buckner. Sarà qui che Holmes scivolerà sulla più grande buccia di banana del secolo, facendo un capitombolo investigativo che verrà prontamente risistemato con genialità dal buon Archy, che risolverà non solo il caso, ma ben altro, tornando ad essere l’idolo della cittadina nella quale, ormai, ha deciso di rimanere.

La storia è gustosa, la trama interessante e la si assapora anche meglio dopo qualche ora dalla lettura, lasciandola sedimentare un po’. Twain con i suoi dialoghi incredibili, genera personaggi definiti, divertenti, con poche pennellate ben assestate. Del resto stiamo sempre parlando di Mark Twain.


Consigliato: sì
Adatto agli sherlockiani: no
Da leggere più volte: si


Mark Twain
Detective story a doppio fondo
Mattioli 1885
euro 9.90