“Aristotele detective” di Margaret Doody

Nel 300 a.C un giovane ex allievo del peripatetico si trova a dover indagare per difendere la verità. Aristotele, antesignano di Holmes, è il fulcro del modello d’indagine.

Se amate il personaggio di Sherlock Holmes, questo romanzo dovrebbe piacervi. Dimenticatevi, però, le atmosfere della Londra vittoriana tanto care a noi sfegatati fan di Sherlock, perché siamo nell’Atene assolata e brulla, ormai in decadenza, del 300 a.C ossia quando Alessandro sta conquistando tutto, Grecia compresa.

Eppure i metodi di indagine del filosofo stagirita sono la copia praticamente esatta del metodo abduttivo del nostro di Baker Street. Anzi, se vogliamo calare il tutto dove dovrebbe stare, diciamo che Aristotele applica il metodo platonico e prima socratico della maieutica, cercando di portare il vero fautore delle indagini, il ventiduenne Stefanos che è anche voce narrante del romanzo, a trovare il bandolo della matassa di una vicenda piuttosto intricata. Bello? Bellissimo.

Aristotele che indaga?

Quando ho comprato questo libro di Margaret Moody pubblicato da Sellerio nel 1999, la quarta di copertina mi aveva immediatamente ghermito: “Senza Aristotele, niente Sherlock Holmes“. “Eh sì, va beh” ho pensato. L’idea alla base del romanzo scritto nel 1979, è che il metodo di Holmes (e prima di lui dell’Auguste Dupin di Poe) sia nato fra i colonnati del Liceo di Aristotele, filosofo e scienziato non ché allievo di Platone. Il sistema deduttivo, o meglio dire con Umberto Eco “abduttivo”, fa da filo rosso a tutto il romanzo.

Ero scettica. La mia laurea in filosofia mi ha portato a conoscere bene alcuni filosofi e ad essere annoiata da altrettanti: Aristotele era uno che finiva proprio nella categoria “noia imperitura”.
Questo non ha fermato la mia compulsione, però, e il libro è tornato a casa con me anche se è rimasto incastrato nella sezione Sellerio della mia libreria per almeno 3 anni senza che me lo filassi di pezza.

Poche settimane fa la mia migliore amica mi porta, con il consueto ritardo che contraddistingue i nostri scambi di regali natalizi, due libri proprio della serie della Moody su Aristotele (entrambi ambientati in Egitto, conoscendo la mia passione per quel periodo storico). Si trattava chiaramente di un segno: era giunto il momento di leggere il primo. Ed eccomi qui: il libro della Moody non solo è scritto benissimo (e tradotto benissimo), ma è anche un giallo di ottimo livello.

Sulla sinistra Aristotele contempla il busto di Omero, 1653, Rembrandt. Sulla destra: Copia romana al Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo

TRAMA

La storia inizia con un omicidio e non potrebbe essere diversamente: un notabile della polis, Boutades, viene trovato ucciso nella sua abitazione, a terra, trafitto alla gola da una freccia scagliata da un arco cretese. Sul posto accorrono alcuni cittadini nonché il nipote della vittima, Polignoto e il giovane Stefanos che, per caso, si trova a passare di lì. Dopo pochi giorni ecco l’inghippo che da il via alla vicenda: ad essere accusato dell’omicidio del riccone è Filemone, cugino in esilio di Stefanos. Come prevede la legge greca in quel periodo sarà il parente più prossimo a doversi presentare alle varie fasi del processo per difendere il proprio congiunto. Stefanos si ritrova non solo 22enne e a capo della sua famiglia dopo la recente morte del padre ma anche invischiato nella necessità di trovare il bandolo della matassa per dimostrare l’innocenza (presunta) del cugino. Aristotele è il vecchio insegnante di Stefanos ed è da lui che il ragazzo si reca per cercare un aiuto: da dove si parte per sbrogliare un pasticcio come questo?

Si, ma com’è questo libro?

La struttura del romanzo è quella classica del giallo ossia nemmeno noi lettori conosciamo il o la colpevole del delitto. Seguiamo quindi insieme a Stefanos il modello di indagine di Aristotele che la Doody, abilmente, ha vestito sia coi panni di Holmes sia con quelli di Nero Wolf: è Stefanos, quasi come un aiutante a sbrigare le indagini sul campo, ma a tirare i fili è proprio il filosofo.
Quello che dovrete fare è prendere il passo su questa lettura: il ritmo è coinvolgente ma è talmente ben ricostruito storicamente che esiste, di base, una lentezza classica che è inevitabile per l’epoca. Mi spiego meglio.

Se avete letto qualche romanzo di Christian Jacq, saprete che, nonostante i dettagli storici e sociali delle ambientazioni egizie siano pedestri (Jacq è stato un egittologo, del resto), i comportamenti e i dialoghi, sono forzatamente moderni. Ecco, la Moody non usa questo format, anzi. Sarete introdotti nella Grecia antica esattamente come dovrebbe essere, senza sbavature, senza sciocchezze per rendere le cose “accattivanti”: insomma, senza stonature ma con una storia ben orchestrata. Non sto dicendo con belle parole che sia noioso, non temete, è esattamente il contrario.
Non verrete a capo della soluzione molto facilmente e, nel frattempo, vedrete Stefanos travestito da marinaio indagare nelle peggiori taverne del Pireo, rischiare la vita in inseguimenti all’ultima mazzata, e veder comparire colpi di scena con personaggi di cui, davvero, non saprete se fidarvi o meno.

Della Doody non si sa molto: è canadese, ha 84 anni, è stata docente universitaria di letterature comparate e questo suo primo libro rimase senza successo per molti anni fino a che, nel ’99 proprio Sellerio lo portò alla ribalta. La serie con il filosofo detective è composta da 12 libri ma ognuno è auto conclusivo. Si trovano facilmente usati ma anche nuovi, quindi, non avete grandi scuse: per una volta vi ho parlato di un libro facile da comprare.

Consigliato: tantissimo
Adatto agli sherlockiani: ad occhi chiusi
Da leggere più volte: 
perché no