“Gli strani casi del giudice Li” di Xihong

Fra casi apparentemente impossibili, un detective non ufficiale risolve casi nella più classica delle tradizioni del giallo cinese.

di Giuseppe Spanu

In Cina il mistery novel e il detective novel hanno una tradizione antichissima, che risale al XII secolo, con la raccolta di vicende giudiziarie intitolata Casi paralleli sotto l’albero del pero. Nelle intenzioni degli autori che la compilarono l’antologia doveva essere una manuale di criminologia, ma diventò un successo letterario e ispirò la nascita del romanzo giallo cinese.

Il genere poliziesco tradizionale prima del 1911 presenta caratteristiche differenti da quello occidentale: ci sono elementi soprannaturali (il fantasma di una persona assassinata appare chiedendo giustizia, una divinità compare in sogno al giudice per aiutarlo etc.); il detective si occupa di più casi contemporaneamente; l’indagine si conclude con la condanna del colpevole e viene descritta nei minimi dettagli la punizione. Questo perché il pubblico cinese gradiva che ogni delitto dovesse terminare con una condanna esemplare, che serviva simbolicamente a ristabilire l’ordine infranto. In particolare, nel romanzo poliziesco tradizionale l’investigatore non era un agente di polizia o un privato cittadino o un medico ma un funzionario pubblico, colui che era investito dell’incarico di amministrare una contea o un distretto nelle vesti di giudice, questore, prefetto, direttore dei lavori pubblici, della gestione delle acque etc. ossia il cosiddetto mandarino (dal portoghese mandar, comandare). Nelle indagini il mandarino si faceva aiutare da guardie fidate, spesso esperti di kung fu o ex-banditi redenti; poteva far ricorso alla tortura sui sospettati, ma di solito la evitava e preferiva adoperare il suo acume (anche perché se il sospettato moriva per le conseguenze della tortura, diventava imputabile a sua volta) e spesso si travestiva per condurre le indagini in prima persona ed evitare il lungo cerimoniale che lo accompagnava negli spostamenti.

Il romanzo del giudice Li è molto particolare: contiene elementi tradizionali ma anche alcuni aspetti innovativi che preludono al nuovo poliziesco che di lì a poco nascerà (fu pubblicato nel 1902). Innanzitutto il protagonista era un personaggio contemporaneo per i suoi lettori, non un eroe del lontano passato. Li Bingheng (1830-1900) esistette realmente e fu un funzionario famoso per la sua onestà, che si suicidò dopo essere stato sconfitto due volte dagli eserciti occidentali che avevano invaso il nord della Cina, durante la celebre rivolta dei Boxer (1900-1901). L’autore del libro si firma Xihong, uno pseudonimo dietro il quale si nascondeva forse un funzionario (il genere poliziesco era considerato una forma letteraria sconveniente per i dotti, per cui molti romanzi furono pubblicati anonimi), uno studente in attesa di superare gli esami o forse proprio il segretario di Li, che volle così riabilitare il suo superiore ingiustamente degradato post mortem. Per un terzo del romanzo Li agisce come un investigatore privato, seppur con un incarico non del tutto ufficiale, per risolvere il caso di un omicidio in un traghetto. Nel resto della narrazione si mostra la grande onestà di Li e il suo ingegno nel risolvere i casi più disparati, dal rapimento di giovani fanciulle a casi di assassinio apparentemente inspiegabile e compaiono gli elementi tipicamente cinesi (il fantasma di una vittima, una divinità che consiglia il giudice Li). Rispetto alla tradizione, però, cambia lo sfondo: non viene raccontata più la società idealizzata del passato (come l’epoca Ming 1368-1644), ma quella contemporanea ai lettori, con una precisione nei dettagli da farci immergere completamente nella realtà di quel tempo.

Libro consigliato a chi vuole leggere per la prima volta i classici polizieschi cinesi.