Non era facile rendere James Moriarty, la nemesi di Sherlock, affascinante tanto quanto il detective di Baker Street. Non avevo aspettative particolari sul romanzo eppure ho capito che è stata una delle migliori letture dell’anno, se non la migliore in assoluto in ambito holmesiano.
Come mai ero così “fredda” rispetto a questa uscita? Perché quando si tocca il mondo Holmesiano è sempre un rischio. In più la quarta di copertina e il titolo (l’originale è “The return of Morarty”, più semplice ma anche meno fuori tema a mio parere) lasciavano presagire un classico giallo da uscita editoriale dell’autunno: “Una cena, un cimelio di famiglia, un maniero…” temevo una semplificazione eccessiva e un tono “cozy” che poco si addicono al cattivo dei romanzi e dei racconti di Arthur Conan Doyle. E invece, e invece, ragazze e ragazzi… cosa ho letto. Sono ancora sotto un treno dalla bellezza.
Sembra così composto, ma per brevi istanti ho percepito un’insofferente instabilità. Tutto sommato, il lago sembra più profondo di quanto chiunque potesse immaginare, e intuisco che ci sia qualcosa che lotta laggiù negli abissi
“La cena dei sospetti” è il primo romanzo tradotto in italiano di Jack Anderson, scrittore e sceneggiatore inglese dal talento inconsueto. Questo romanzo sembrerebbe essere il primo di una serie e, onestamente, me lo auguro moltissimo.
È un romanzo con un respiro da grande classico, dalla struttura particolare ma non fintamente complicata. Anderson è appassionato di escape room e questa idea di seguire la vicenda anche attraverso i diari, le lettere e le annotazioni dei personaggi, anche se non nuova, è perfettamente riuscita. Non troverete un classico epistolario dietro al quale impazzire per mettere insieme i pezzi: questo è un romanzo dove la storia si segue perfettamente, anche se dovrete dargli tempo di respirare almeno nelle prime cento pagine. La prima parte è un po’ lenta, infatti, deve carburare… ma quando lo fa, diventa una valanga impazzita, ma impazzita molto bene.
Quella lettera è più di un catalogo dei miei crimini, è il mio processo. Un processo indetto da un uomo molto più intelligente di me o di lei
La storia inizia con un dottore che, ricattato, ha il compito di salvare un uomo conciato molto male: chiusi in una baita sulle Alpi svizzere vicino alle cascate di Reichenbach. Il dottore ha ben capito che quell’uomo non meriterebbe di vivere e cerca di avvelenarlo in un modo incredibile. E già lì Anderson mi aveva rapita. E poi, beh, il seguito si sposta nella villa a strapiombo della famiglia Alber dove arriva Clara Mendel, donna di fina Ottocento prossima alla laurea in medicina e figliastra di uno degli Alber ormai deceduto anni prima in circostanze non chiare.
Alla villa è già arrivato anche Hugo Strahm, intellettuale e amico della famiglia con il quale Clara inizia ad intessere una conoscenza intellettuale che sorprende enetrambi. Non c’è romance, sia ben inteso: c’è tensione umana. Una cosa magnifica e rarissima.
Un cimelio di famiglia, una spada d’oro e pietre preziose che salverebbe gli Alber dalla caduta economica definitiva, viene trafugata e ogni singolo membro della famiglia è un possibile colpevole, Clara compresa. Strahm si propone come detective. Inizia tutto: l’avventura, i giochi di specchi, le false piste, la partita a scacchi fra Clara e Hugo che poi… avete ben capito chi è.
Forse angeli e diavoli sono simili in questo senso. Intorno a loro si esprime la vera essenza di noi stessi. I primi non giudicheranno, gli altri possono capire.
È affascinante che Anderson abbia lavorato così bene su un personaggio che, anche se estremamente famoso, non è stato sviluppato per nulla da Arthur Conan Doyle. È altrettanto interessante che Anderson abbia deciso di assumere il punto di vista della co-protagonista, Clara Mendel (eccezionale), una donna della fine dell’Ottocento, per raccontare anche il personaggio principale di questo giallo, Hugo Strahm (non è un grosso spoiler che sia la falsa identità di Moriarty data la copertina del libro e la quarta). Il mistero della scomparsa della spada cimelio della famiglia Alber è quasi una scusa – perfettamente consegnata – per seguire Clara e Hugo, nell’evoluzione del loro rapporto che possiede una tensione e una verità che è difficile trovare nella letteratura di genere.
Jack Anderson ha costruito una delle cose più preziose e belle in letteratura: personaggi grigi, interessanti, per nulla prevedibili, infinitamente umani, e stupendamente classici. In più, la presenza di Holmes è quantitativamente irrilevante ma così intensa da lasciare soddisfatto qualsiasi fan di Sherlock.